Sono circa settecento le scritte che figurano sulle pareti della Camera dei Giganti, capolavoro di Giulio Romano, identificate e trascritte dal minuzioso studio curato da Anna Maria Lorenzoni. Esse vanno dal 1560 fino alle più recenti che risalgono alla metà del Novecento, quando il palazzo non era sorvegliato. La maggior parte delle incisioni sono opera dei lanzichenecchi austriaci, soldati del Sacro Romano Impero, che occuparono Palazzo Te dal Sacco di Mantova nel 1630 fino alla guerra di successione polacca nel 1735, trasformando la villa in caserma.
Leggendo i graffiti si trovano nomi di soldati e cognomi di famiglie patrizie mantovane, suonatori di bande militari e persino sospiri amorosi: “Alhir, in questo luogo ho trovato il mio tesoro, il mio angelo e il mio bambino, sono felice a te vicino”.
Durante i restauri effettuati tra il 1984 e il 1990, l’Istituto Centrale del Restauro ha deciso di non cancellare le scritte, ma di mascherarle leggermente ritoccando i solchi con l’acquerello, mantenendo la leggibilità dei graffiti senza alterare la fruizione dell’immagine dipinta.
Parte della meraviglia della Camera dei Giganti risiede nella capacità di evocare la metamorfosi di Palazzo Te: un luogo nato per l’ozio del marchese, divenuto caserma e ora centro culturale. La scelta di mantenere visibili i graffiti mostra un’intesa artistica e contemporanea del concetto di tempo, abbandonando la sua dimensione lineare e condensando il tempo nell’esperienza della visita e nella partecipazione del pubblico.
Tratto dal testo di Ugo Bazzotti